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Lo storytelling per potenziare gli automatismi del Marketing

“Pubblico, non target. Perché chi ha familiarità con le grammatiche narrative sa perfettamente che i lettori, gli ascoltatori, i telespettatori, gli elettori, le persone che scelgono di acquistare prodotti e servizi non possono più essere considerati bersagli da centrare ma una platea da coinvolgere.” [1]

Paolo Iabachino

Lavoriamo in un mercato in cui l’approccio alla comunicazione si sta orientando sempre più verso l’ideazione e la scoperta di tecniche di tipo quantitativo, dai sistemi di ottimizzazione matematici, al crescente utilizzo di Bot e I.A.

Intendiamoci, questo non è affatto un male.

Il funnel marketing va fatto come si deve e funziona.

Semplicemente, oggi più che mai, il brand che voglia avere successo e distinguersi nel mercato deve accompagnare ognuno di questi automatismi ad una narrazione onesta ed empatica.

Hai mai sentito parlare di Banner Blindness[2]? Un concetto da interiorizzare e da considerare in ogni campagna marketing, specchio di una tendenza dell’individuo ad essere sempre più distaccato e sospettoso nei confronti della pubblicità.

La (o il?) banner blindness è in sintesi quel meccanismo di difesa cognitivo che inconsciamente scompone una pagina in diversi elementi e neanche ti fa vedere i quintali di banner pubblicitari di cui essa viene farcita.

Ne sto parlando perché oggi si possono cercare soluzioni per ovviare alla banner blindness tramite

  • soluzioni di native advertising originali ed efficaci
  • tramite i social network
  • Tramite soluzioni e immagini sempre più impattanti (ma è una continua corsa al rialzo)
  • Tramite quella che reputo la chiave di volta del marketing: la riscoperta dell’umanità del marchio, veicolata attraverso un approccio di tipo narrativo ed empatico i cui contenuti di qualità siano il riflesso del life journey del consumatore, sia la vera chiave di volta per fare la differenza all’interno della “società dei brand”.

Credo che un cambio di rotta in questa direzione possa garantire notevoli risultati alle PMI (che agevolate dalla loro agilità e dalla loro vicinanza col consumatore possano trovare nello storytelling una fionda con la quale combattere contro Golia) e che possa essere vantaggioso anche per i brand più grandi, nel ritrovare e consolidare la fiducia e l’engagement di un consumatore, oggi sempre più sospettoso e consapevole.

Anche tutti i nostri automatismi dovrebbero insomma, quanto più possibile, abbandonare la retorica dello slogan a favore di un copywriting il più possibile onesto, sincero, e vicino alla personalità del Brand che stiamo rappresentando.

Quindi accantoniamo un attimo tutti gli utili manuali, i decaloghi, le tecniche di neuromarketing e di persuiasone e cerchiamo di concentrarti sulla nostra proposta differenziante e soprattutto su quello che pensiamo e che onestamente vogliamo dire.

Riutilizzando le parole di Paolo Iabachino dunque, intendiamo lo storytelling come una disciplina dalle finalità concreta ma che, vestito di valenze etiche oneste, può essere impiegato come tecnica per migliorare l’approccio al marketing della “società dei brand” e della società stessa.

Note:

[1] Iabachino, (A cura di), 2009 Storytelling d’Impresa, A. Fontana, Etaas-Rizzoli, Milano

[2] Banner Blindness: Termine coniato nel 1988, in  seguito agli sudi condotti sul tema da Benway e Lane, che indica  quel fenomeno per il quale i visitatori di un sito web finiscono per ignorare in maniera più o meno conscia banner pubblicitari o e altre forme di annunci simili